STEFANO SORRENTINO
PEZZI DI ROCK
Julie Driscoll
Da immagine pop a icona della musica d'avanguardia
L'anno di passaggio dal decennio del “favolosi anni 60” ai travagliati anni 70 è stato denso di eventi iconici: Woodstock, la morte di Brian Jones e il concerto commemorativo dei Rolling Stones a Hyde Park, il leggendario raduno di Woodstock, la fine dei Beatles con il travolgente concerto di addio sul tetto della Apple, la loro casa discografica.
Julie Driscoll, cantante, compositrice, attrice, pittrice, nata a Londra nel 1947, entra nell'ambiente musicale in qualità di amministratore del fan club degli Yardbirds, ingaggiata dall'impresario Giorgio Gomelsky, noto come produttore dei primi Rolling Stones e come manager di alcuni gruppi della scena prog inglese come Soft Machine e Gong.
Gomensky intuisce il talento della giovanissima Julie e la convince ad intraprendere la carriera di cantante professionista, favorendone, nel 1965, l'ingresso come vocalist nel gruppo blues-rock 'The Steampacket', in cui militano Long John Baldry, Rod Stewart e Brian Auger.
Con quest'utlimo, tastierista e virtuoso suonatore di organo Hammond, nel 1967 forma un gruppo denominato Julie Driscoll, Brian Auger & The Trinity, che raggiunge la popolarità con alcune splendide cover, in salsa rhythm & blues e rock, come 'This Wheel's On Fire' di Bob Dylan (che arriva alla posizione n.5 della classifica inglese dei singoli), 'Season of the Witch' di Donovan e 'Save Me' di Aretha Franklin, che ottiene un notevole successo anche in Italia.
Julie Driscoll, Brian Auger & The Trinity
Brian Auger e Julie Driscoll formano una coppia straordinaria: lui, grandissimo organista dal sound personale basato sui registri percussivi del suo Hammond B3, i cui trascinanti assoli fondono rock, jazz e blues; lei, avvenente e sensuale, con una voce soul potente e raffinata, che con il suo look variopinto e le sue movenze flessuose entra nell'immaginario collettivo, definendo, nei magici anni della swinging London, un riferimento di stile hippie-psichedelico.
Nel 1969, producono, per l'etichetta 'Marmalade' di Giorgio Gomelsky, il doppio album 'Streetnoise', sbalorditivo risultato della loro alchimia, che, al netto delle frequenti incursioni nel pop, sebbene elegante, li consacra come alfieri di un nuovo genere rock-jazz che rappresenterà uno dei punti di partenza per certa musica progressive britannica (da Soft Machine a Emerson, Lake & Palmer).
Ma il 1969 sarà l'anno del cambiamento anche per Julie Driscoll. Dopo quattro anni passati quasi esclusivamente in tour, prima con gli Steampacket e poi con Brian Auger e i Trinity, il peso del successo e dell'interesse da parte dei media era diventato per lei insostenibile.
"Era qualcosa di impossibile da gestire e non volevo nemmeno farlo" ricorda Julie nel luglio 2006. "Mi sono resa conto molto presto della falsità di quel tipo di esistenza, e non ero il tipo da credere alla fama o lasciare che tutta quella roba mi montasse la testa. Ad un concerto, in particolare, con Brian avevamo suonato in un modo che sentivo non fosse proprio all'altezza dei nostri soliti standard perché eravamo tutti molto stanchi per il continuo tour. Ma il pubblico, grazie alla nostra reputazione, non si è accorto di nulla e ha pensato che fosse meraviglioso. Mi sono ritrovata a pensare quanto tutto ciò fosse ridicolo, rendendomi conto che stavano semplicemente idolatrando la nostra immagine piuttosto che il contenuto.”
Durante questo periodo, Julie Driscoll trascorreva i suoi rari momenti di tranquillità scrivendo materiale proprio, nonostante non avesse una vera e propria formazione musicale. Suonava la chitarra acustica e spesso con la band eseguiva qualche piccolo cameo nel corso dei loro concerti. Ma si accorse presto che, pur continuando ad amare il lavoro con Brian Auger e i Trinity, la sua arte stava andando in una diversa direzione. E così decise di lasciare la band, incoraggiata anche da Giorgio Gomelsky che le diede l'opportunità di registrare quello che sarebbe stato il suo primo album da solista. Era il 1970: in quegli stessi giorni, il manager stava producendo l'album di debutto di Keith Tippett, un talentuoso pianista e compositore jazz. L'album era "You Are Here...I Am There" ed ebbe un impatto immediato sulla cantante. Racconta Driscoll : "Pensavo solo che stavo aspettando di sentire cose del genere da anni; mi aveva davvero toccato. Giorgio ha suggerito che avremmo dovuto incontrarci e chiedere a Keith di fare alcuni arrangiamenti per il mio disco." Dopo aver visto il sestetto di Tippett esibirsi al Marquee di Londra, Keith e Julie si misero al lavoro. Rinchiusi giorno e notte negli uffici di Gomelsky, elaborarono gli accordi e le partiture delle sue canzoni, iniziando un legame affettivo e professionale che sarebbe durato per cinquant'anni fino alla scomparsa di Keith nel 2020.
I
risultati del lavoro si vedono in “1969”, il bellissimo album di esordio di Julie Driscoll, che dopo il
matrimonio con Keith Tippett, avvenuto nel 1970, assunse il cognome
Tippetts (vero cognome del marito). Le canzoni, tutte scritte da
Julie e arrangiate dal neo-coniuge, vedono le performance di alcuni
fra i più noti musicisti della scena rock-jazz londinese che
sarebbero confluiti nei Soft Machine (Elton Dean, Mark Charig, Nick
Evans) nonché i contribuiti pianistici dello stesso Tippett,
che poco dopo, con una buona parte degli stessi musicisti, avrebbe
dato vita al progetto Centipede, prodotto da Robert Fripp.
Quest'ultimo avrebbe anche beneficiato del talento di questi artisti
per caratterizzare in modo decisivo gli album 'Lizard' e 'Islands',
nella prima era dei suoi King Crimson.
Il
titolo dell'album “1969”, pubblicato nel 1971, evidenzia
l'importanza che ebbe quell'anno nella svolta della carriera
artistica dell'autrice e i testi della canzoni rispecchiano i suoi
sentimenti in questa fase di cambiamento.
Da
quel momento la collaborazione in casa Tippett diede numerosi frutti,
di altissimo livello: da 'Septober Energy' dei Centipede, lavoro
corale a cui Driscoll contribuisce con i suoi testi e con i suoi
vocalizzi, a 'Blueprint' del Keith Tippett Group, in cui la voce di
Julie entra a far parte della struttura dei brani composti dal
marito, inserendosi in modo naturale nella performance free del
gruppo.
Nel
1975 viene pubblicato il secondo album solista di Julie Tippetts,
“Sunset
Glow”,
ancora più affascinante del primo, che vede protagonisti,
oltre al marito, lo stesso gruppo di musicisti di “1969”.
Il disco, introvabile per molto tempo e rimasterizzato recentemente,
è un'opera che si sottrae alle classificazioni, passando con
disinvoltura dal pop al jazz, dal blues alla musica sperimentale.
Negli
anni successivi, la carriera di Julie Tippetts è ricca di
collaborazioni, sia in studio che dal vivo, e si sviluppa
prevalentemente su canoni che si avvicinano sempre più alla
musica moderna d'avanguardia, come, ad esempio, nel suo terzo lavoro
solista, “Shadow
Puppeteer”
del 1999, dove la sperimentazione diventa estrema, creando atmosfere
che spaziano da sonorità etniche a vocalizzi, in una fitta
trama contrappuntistica e polifonica.
La
pulsione verso il jazz sperimentale e la musica d'avanguardia si
esprime anche nei successivi lavori con il suo compagno di vita e di
arte: Keith & Julie Tippett danno vita nel 1988 al progetto che,
sotto il nome 'Couple in Spirit', produrrà due dischi, nel
1988 e nel 1997, e li vedrà impegnati per lunghi anni in
concerti in tutto il mondo, anche in Italia, fino a poco prima della
scomparsa di Tippett avvenuta nel 2020.
Nel
2023 vede la luce un nuovo album, ulteriore capitolo del progetto
'Couple in Spirit': ripreso da una idea del 2019 e portato a termine
da Julie anche senza Keith, recupera vecchie registrazioni live del
duo, impiegandole come base per produrre una nuova opera di questa
grande coppia artistica della musica contemporanea. Con il marito Keith Tippett