STEFANO SORRENTINO
PEZZI DI ROCK
Pink Floyd - Atom Heart Mother
La mucca più famosa del Rock
PREMESSA
Con il loro quinto album 'Atom Heart Mother', pubblicato nel 1970, i Pink Floyd fecero il salto di qualità della loro carriera, raggiungendo per la prima volta il primo posto nella classifica dei dischi più venduti in Gran Bretagna e diventando 'Disco d'oro' negli Stati Uniti, inanellando così una serie notevole di successi, in tutta Europa e in Italia, dove raggiunse il posto n.5 nella nostra Hit Parade dei 33 giri.
Eppure, l'album non nacque sotto i migliori auspici: la band si impantanò durante la composizione della 'title track', una lunga suite strumentale che avrebbe dovuto riempire tutta la prima facciata.
Per la seconda facciata, avevano già pronte tre belle canzoni: 'If', 'Summer '68' e 'Fat Old Sun', composte rispettivamente da Roger Waters, Richard Wright e David Gilmour. Per completare la seconda facciata del disco, fu aggiunto un bel riempitivo: una mini suite di circa 13 minuti, 'Alan's Psychedelic Breakfast', piacevole, simpatico e innocuo divertissement strumentale che costituisce la colonna sonora, in tre tempi, della prima colazione di Alan, uno dei tecnici della band, con tanto di sfrigolio di uova e bacon e altri interessanti effetti sonori mangerecci.
GENESI E REALIZZAZIONE
'Atom
Heart Mother' raggiunse il successo planetario, di cui si diceva
all'inizio, solo grazie all'omonima suite, presente sulla facciata A
del disco, che ebbe una genesi travagliata. Durante alcune sessioni
di prove, negli studi EMI (che successivamente si sarebbero chiamati
Abbey Road, i famosi studi dei Beatles), la band incise una serie di
brani che iniziavano ad avere forma compiuta e un filo conduttore, in
particolare quella progressione di accordi che avrebbe caratterizzato
tutto l'andamento della suite. Ma la band non era soddisfatta, i
quattro musicisti pensavano che il risultato ottenuto non avesse il
mordente necessario. Per cui ingaggiarono Ron Geesin,
musicista e compositore britannico, che aveva già lavorato in
precedenza con Roger Waters, e gli chiesero di comporre un
arrangiamento orchestrale che potesse dare uniformità e
spessore ai brani composti.
Così i Pink Floyd consegnarono a Geesin tutto il materiale registrato fino a quel momento, e, nel marzo del 1970, volarono negli Stati Uniti, per un tour già programmato.
Ron Geesin ebbe carta bianca per il suo arrangiamento, compose le parti prevedendo il coinvolgimento di un ensemble di 10 ottoni, di 20 elementi del coro (diretto da John Aldiss) e di un violoncello, per il tema principale. Non aveva avuto indicazioni da parte dei membri della band, per cui seguì in parte la struttura armonica dei brani già registrati dai Pink Floyd, ma in gran parte creò un'opera completamente nuova, lasciando talvolta la musica della band al ruolo di semplice accompagnamento.
A giugno l'arrangiamento era completato ed iniziarono le registrazioni con l'orchestra, il coro e la band. Sorsero vari problemi: nessuno dei Pink Floyd sapeva leggere la musica, ad eccezione dell'organista Richard Wright, per cui ci furono parecchi disguidi ed incomprensioni in fase di registrazione; il tutto fu complicato dal fatto che la casa discografica EMI aveva messo a disposizione della produzione una nuovissima apparecchiatura a 8 tracce la cui funzionalità era poco conosciuta dai tecnici e dai membri della band (si narra ad esempio che, ad un certo punto, il batterista Nick Mason avesse premuto il tasto di registrazione nel momento sbagliato per cui la registrazione del coro risulterebbe, nel mix finale, sfasata di una battuta). C'era grande confusione all'interno dello studio e la numerosità dei partecipanti non fu certo di aiuto: alla fine, i Pink Floyd non si ritennero soddisfatti del risultato raggiunto e per anni rinnegarono quella loro opera.
Ma, a parte gli straordinari risultati di vendita e nonostante siano trascorsi più di cinquant'anni, la suite 'Atom Heart Mother' resta un capolavoro, e rappresenta il punto più alto della creatività dei Pink Floyd. Il principale artefice di questo successo fu, per la verità, l'arrangiatore Ron Geesin, il cui talento diede vita ad un'opera che coniugava blues e musica d'avanguardia del novecento, rock e musica classica. Diversamente da altre opere del periodo in cui le rock band si appoggiavano ai contributi di orchestre sinfoniche, Atom Heart Mother rappresenta un momento unico, in cui l'orchestra svolge quasi sempre il ruolo principale e la rock band fa spesso da accompagnamento. Senza nulla togliere, ovviamente, ai Pink Floyd che ebbero l'intuizione giusta e che impostarono la composizione con il loro stile ben preciso e con la loro maestria strumentale e compositiva.
TITOLO E COPERTINA
Come raccontato fin qui, molte delle scelte relative alla produzione del disco furono dettate da incertezze e da circostanze occasionali. Il titolo e la copertina dell'album subirono sorte analoga. A partire dal titolo, molto dibattuto all'interno della band e, alla fine, nato per puro caso: inizialmente il disco doveva chiamarsi 'The Amazing Pudding', ma essendo un titolo davvero poco evocativo non convinceva nessuno. Per combinazione, un giorno il bassista Roger Waters lesse un articolo di giornale che parlava di una donna incinta alla quale era stato impiantato un pacemaker sperimentale: e così nacque il titolo definitivo, 'Atom Heart Mother', la 'Madre dal Cuore Atomico'.
Anche i titoli dei sei movimenti della suite furono scelti casualmente, talvolta con ironico riferimento alla copertina ('Breast Milky' ovvero 'Mammella Lattea', 'Funky Dung' ovvero 'Funky Letame').
Riguardo la copertina, possiamo dire che fu di sicuro dirompente all'epoca: la foto a colori di una mucca in primo piano su un prato, altre mucche sul retro, nessun riferimento né al nome della band né al titolo dell'album. Lo studio grafico 'Hipgnosis', che aveva già lavorato per i Pink Floyd in album precedenti, fece una prima proposta che non venne accettata. Quando presentò la proposta alternativa, una bozza con la foto di una mucca, che piacque molto alla band, i dirigenti della casa discografica EMI domandarono loro se fossero per caso impazziti con una idea del genere, che avrebbe potuto distruggere l'immagine della compagnia. Ma la storia racconta che non provocò i danni temuti, anzi. La povera mucca ritratta sulla copertina divenne l'immagine mitica di un grande album e negli anni a venire una delle icone rappresentative dei Pink Floyd e del progressive rock.
L'OPERA
'Atom Heart Mother' è un brano strumentale, eseguito da un ensemble di 10 ottoni (3 trombe, 3 corni, 2 tromboni, 1 tuba e 1 trombone basso), violoncello, coro composto da 20 voci femminili e maschili, e dai quattro elementi della band che suonano chitarra elettrica, basso elettrico, tastiere (organo Hammond, Mellotron, pianoforte) e batteria; vengono utilizzati anche svariati effetti speciali che determinano in alcuni casi la transizione fra i vari movimenti della suite (rombo di motocicletta, sferragliare di treno, …).
Si tratta di un'opera che possiede le caratteristiche e i formalismi di un brano sinfonico e che ha assunto una propria dignità interpretativa, entrando a far parte del repertorio di orchestre e ensemble di teatri e conservatori di tutto il mondo.
La suite è composta da sei movimenti che si susseguono senza soluzione di continuità, per una durata totale di poco meno di 24 minuti.
Si inizia con l'epica ouverture di 'Father's Shout', tutta incentrata sul gruppo di ottoni, accompagnati dalla band, in cui rumori di esplosioni, di cavalli al galoppo e il rombo di una motocicletta che si allontana ci conducono al tema principale, potente e solenne, composto da David Gilmour per un suo film western “immaginario”, alla maniera di Morricone.
Nel secondo movimento, 'Breast Milky', troviamo il celebre dialogo fra gli arpeggi dell'organo, il violoncello che esegue il motivo dominante, semplice ed espressivo, e la linea di basso molto in evidenza. Al violoncello si alterna la chitarra elettrica che si produce in uno splendido assolo con il bottleneck, prima lento e rilassato e poi con un timbro più aggressivo, con effetto overdrive.
Con 'Mother Fore', terzo movimento, entra in scena il coro che alterna e mescola voci maschili e femminili, in lunghi vocalizzi, anche onomatopeici e percussivi, la cui polifonia arriva fino a quattro diverse linee melodiche in contemporanea, mentre organo e basso eseguono un ostinato su due soli accordi. Il clima che si crea è affascinante, dapprima in una atmosfera statica che man mano si esaspera, con l'aiuto del ritmo incalzante di basso e batteria, ed esplode drammaticamente fino alla distensione finale.
Il quarto movimento, 'Funky Dung', è il più iconico della suite ed è quello che maggiormente la caratterizza: sulla base ritmica dell'organo Hammond, che suona un giro di due semplici accordi, glissati e in registro percussivo, e un riff di basso molto in evidenza, la chitarra esegue uno splendido assolo sulla scala blues. Poi, quando il brano inizia a sfilacciarsi, entra, a fare da collante, una nota continua di strings e successivamente di brass, entrambe suonate dal mellotron. e ritorna il coro, in una performance del tutto innovativa, se si guarda al contesto della scena rock dell'epoca: i 20 coristi vengono chiamati ad eseguire una serie di frasi, versi fonetici inventati che richiamano talvolta la struttura idiomatica di linguaggi nativi, in un caleidoscopio di suoni inediti che si alternano ai contrappunti blues di pianoforte e organo, fino alla travolgente impennata lirica che conduce al ritorno degli ottoni e del tema assertivo del primo movimento.
Improvvisamente, la tonalità viene abbandonata: il quinto movimento, 'Mind Your Throats Please', il più sperimentale, è una ripresa delle sonorità psichedeliche e rumoristiche tipiche dei Pink Floyd, soprattutto degli esordi; la base ritmica è costituita dall'improvvisazione di una tastiera (organo e/o mellotron) suonata a 'cluster', cioè con la mano a dita unite, che fornisce il legame per una sequenza di svariati effetti sonori e vocali, fra cui una locomotiva sferragliante, fino al caos finale quando il grido, urlato al megafono, rimette tutte le cose al loro posto: 'SILENCE IN THE STUDIO'.
E con 'Remergence', sesto ed ultimo movimento, torna la tonalità: il tema principale viene ripreso dai fiati, coralmente con tutta la band, fino al passaggio che porta all'epilogo; il violoncello riesegue la melodia del secondo movimento sul tessuto dell'arpeggio di organo, seguita dalla doppia e parallela improvvisazione di chitarra slide.
Nel maestoso finale, si aggiungono alla band i fiati e i cori con tutta la loro potenza: attraverso una serie di modulazioni sul tema principale, tutti insieme raggiungono l'acme, si dissolvono momentaneamente per ritrovarsi, all'unisono, nell'ultimo luminoso accordo di Mi maggiore.